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L’Urlo di Munch. Una storia di almeno 4 versioni, di due furti e di un’asta miliardaria


«Anch'io mi sono messo a gridare, ma nessuno mi stava ascoltando. Ho capito che dovevo gridare attraverso la pittura, e allora ho dipinto le nuvole come fossero cariche di sangue, ho fatto urlare i colori. Non mi riconoscete, ma quell'uomo sono io».

L’Urlo è uno dei quadri più famosi dell’espressionismo nordico e l’opera probabilmente più conosciuta del pittore norvegese Edvard Munch. È stato dipinto in tre versioni a olio realizzate tra il 1893 e il 1910 (conservate due presso la Galleria Nazionale di Oslo, e una –la più recente- al  Munch Museum), una versione a pastello conservata presso un anonimo collezionista e in una serie di incisioni.

Fa parte di una serie di opere denominate il Fregio della vita, in cui il pittore esplora i temi dell’amore, della paura, della morte, della malinconia e dell’ansia. Ci troviamo nel momento cruciale del passaggio di secolo: le certezze dell’età ottocentesca entrano in crisi di fronte alle prepotenti istanze del nuovo uomo contemporaneo. Il pluralismo delle idee, la molteplicità di prospettive, il relativismo come approccio alla realtà rappresentano l’avanzare del Nuovo. L’uomo scopre di conoscere una minima parte del mondo in cui vive e, non solo, in questo mondo non ritrova più se stesso e la propria coscienza.

«Camminavo sulla strada con due amici, il sole tramontava, sentii come una vampata di malinconia. Il cielo divenne all’improvviso rosso sangue. Mi arrestai, mi appoggiai al parapetto, stanco da morire. Vidi le nuvole fiammeggianti come sangue e una spada. Il mare e la città di un nero bluastro. I miei amici continuarono a camminare. Io rimasi là, tremando d’angoscia, e sentivo come un grande e interminabile grido che attraversava la natura».

Lo spunto ispiratore dell’Urlo è dichiaratamente autobiografico: nell’uomo in primo piano è ritratto l’artista stesso. La potenza della scena conferisce tuttavia all’opera un significato universale, sempre attuale. È l’essere umano, lo Spirito dell’Uomo che grida la sua angoscia di vivere, un grido sordo, doloroso, disperato. L’uomo è rappresentato in maniera visionaria, è un fantasma, indefinito, molle: la testa è completamente calva come un teschio; gli occhi hanno uno sguardo allucinato e terrorizzato, il naso è quasi assente, la bocca si apre in un vuoto nero, è dilatata in modo innaturale. Le onde sonore del grido mettono in movimento tutto il quadro: vibrano dal corpo dell’uomo al paesaggio e al cielo. La composizione è impostata lungo la diagonale tracciata dalla linea del ponte, in apparente e voluto disequilibrio, a voler sottolineare la mancanza di un punto di appoggio fermo, sicuro, stabile. Restano diritti solo il ponte e le sagome dei due uomini sullo sfondo: elementi sordi e impassibili all’urlo, indifferenti, espressione della falsità dei rapporti umani.

Il Museo Munch possedeva tre versioni del quadro, una esposta, altre due tenute in magazzino.
La versione esposta è stata oggetto di due furti messi a segno a circa dieci anni di distanza l'uno dall'altro. La prima volta la tela è stata rubata il 12 febbraio del 1994 ed è stata ritrovata tre mesi dopo. Durante il secondo furto, avvenuto invece il 22 agosto del 2004, assieme all'Urlo è stata sottratta anche la Madonna, dello stesso autore. Il 31 agosto 2006 la polizia norvegese ha recuperato entrambi i dipinti. Sottoposti a restauro per arginare i danni causati dal furto e dall’esposizione all’umidità, il 23 maggio 2008  due opere sono tornate in esposizione alla Galleria Nazionale di Oslo.

La versione a pastello è divenuta famosa per aver superato i record di tutti i tempi di vendita all’asta da Sotheby’s. è stata infatti aggiudicata per 120 milioni di dollari il 3 maggio del 2012. È l’unica a presentare sullo sfondo una figura affacciata al ponte che si staglia contro il cielo infuocato dai colori del tramonto. La cornice è originale, dipinta dall’artista, e riporta la poesia che ispirò il soggetto, alcuni versi scritti da Munch per descrivere il sentimento di angoscia e terrore che lo aveva colto mentre camminava al tramonto con alcuni amici.

«La verità è che si vede con occhi diversi di volta in volta. Al mattino vediamo le cose in un modo, alla sera in un altro, e questo dipende dal nostro modo di essere. Uno stesso soggetto viene perciò percepito in tanti modi differenti ed è questo che rende l’arte tanto affascinante»

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