Il sarcofago di Larth Sentinates Caesa nel Museo Archeologico Nazionale di Chiusi, dalla tomba
La tomba della Pellegrina, scoperta nel 1928, è situata a circa 2 chilometri da Chiusi. Appartenne alla famiglia dei Sentinates e fu utilizzata tra la fine del secolo IV e il II a.C. Si presenta costituita da una camera quadrangolare scavata nell'arenaria, cui si accedeva mediante un lungo dromos; sui lati erano scavate due piccole camere che fiancheggiavano la principale, chiuse da lastre di pietra e quattro loculi per le deposizioni secondarie. Conteneva cinque sarcofagi e dodici urne di alabastro e travertino. Nella camera centrale fu rinvenuta l'urna di Larth Sentinates Caesa, conservata nel museo archeologico di Chiusi.
L’ULTIMO ETRUSCO
di Furio Durando
Lungo corre lo sguardo, e malinconico. Corto esala il fiato. Le labbra sono socchiuse, la loro piega amara contiene l’incredulità per l’esito – exitus, uscita, ma dove? è dunque nel vuoto del nulla che precipita la vita? Perché essere nobili condanna a non credere che la banalità della morte possa chiudere la favola terrena, rivelandone così l’inganno a volte sospettato, e spesso invano medicato a gioia ed ebbrezza, a silenzio e saggezza.
Sotto la fronte spaziosa s’affossano inquiete pupille, linee virili che sanno il piacere disegnano il fiero profilo di un uomo che esiste davvero.
L’anello eccessivo alla mano sinistra, la lunga ghirlanda che pende dal collo, le tempie recinte da segni di festa e convivio: tutto descrive l’addio. Ma che l’addio sia degno di un principe, questo è dovuto, e che si possa stare, per l’ultima volta, mezzo nudo, profumato, disteso sui cuscini della klíne, stravaccato con la grazia che a un plebeo mai toccherà, come si fosse a banchetto, lo stesso che i familiari e i parenti imbandiranno alle esequie. «Que fin la mort de mon delit acabi en melodia», che persino la morte della mia gioia finisca in melodia, scrive Josep Carner, un poeta catalano di fine Ottocento.
Lini finissimi avvolgono il corpo gentile – morbida pelle, paciosa pinguedine: la veste è già il preludio del sudario, la quiete rassegnata attende gli incensi e le danze. E tanta luce per tanta bellezza – magnifico alabastro volterrano – è destinata al buio artificiale e senza pace di una camera tombale!
Quel nome rubricato sopra al bordo del coperchio, quel nome che corre da destra a sinistra, come insegnarono gli avi approdati da oriente in secoli lontani, ha così un unico senso. Qui dentro, dice, c’è quel che rimane di un nobile etrusco – praticamente polvere e un coperchio d’alabastro con la sua immagine distesa. Visse, fu forse felice, rimpianse la vita morendo e temette l’orrore infernale. Aveva un prenome che denotava la cultura profonda, o forse soltanto un esotismo superficiale, ma à la page, dei suoi genitori: Laerte lo chiamarono, come il padre di Odisseo, magari come si chiamava un nonno. E un gentilizio, Sentinate, che puzza d’Umbria e d’imprese – belliche o economiche, chissà, fors’anche spregiudicate come conviene alle une e alle altre, perché Sentinum era la città umbra che oggi chiamiamo Sassoferrato. E infine un cognome etrusco per davvero, e sanno gli dèi che vorrà dire.
Se vi chiedete che cosa stia guardando, è presto detto.
Larth Sentinates Caesa, deposto fra il 250 e il 200 a.C. nella camera centrale della splendida Tomba della Pellegrina, lungo la strada che porta al Lago di Chiusi, guarda la notte infinita che attende lui e che incombe sul popolo dei Raśna. I Romani hanno appena debellato Velzna, la Masada etrusca, che avremmo poi chiamato Orvieto.
L’ultima Etruria chiude su se stessa una parabola di secoli di luce.
(da Fly Magazine, Sarteano 2006, II)