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Materiale Didattico

Alla ricerca della città ideale: Sabbioneta e Mantova


Antonio Averulino detto il Filarete, Pianta di città ideale, dal Trattato di Architettura, 1461-1464. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale

Antonio Averulino detto il Filarete, Pianta di città ideale, dal Trattato di Architettura, 1461-1464. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale

Nel cuore della Bassa padana, Mantova e Sabbioneta rappresentano due esempi significativi della pianificazione territoriale e urbanistica rinascimentale: la realizzazione della città ideale. Riferimento per molte delle successive esperienze di costruzione delle città fino all’età moderna, Mantova e Sabbioneta sono state vettore in Europa degli ideali della cultura rinascimentale. Esse costituiscono infatti le due principali forme urbanistiche del Rinascimento: la città di nuova fondazione (Sabbioneta), realizzata a partire dal concetto di città ideale, e la trasformazione in tal senso di una città preesistente (Mantova). Dal luglio 2008 Mantova e Sabbioneta sono state dichiarate dall’UNESCO patrimonio mondiale dell'umanità.


Sabbioneta
La teorizzazione della città ideale rappresenta uno dei grandi temi della cultura artistica rinascimentale, in cui lo spazio viene plasmato attraverso la forma urbanistica “perfetta”, a celebrare la grandezza del nobile signore.



  


Sabbioneta è una città di nuova fondazione, sorta tra il 1556 e il 1591 per iniziativa di Vespasiano Gonzaga. Forte delle sue passate esperienze di architetto militare, Vespasiano I Gonzaga Colonna (1531-1591) la volle edificare in un luogo ad alto valore strategico, sulla principale via di comunicazione tra la pianura bre-sciana e i maggiori centri del traffico fluviale del medio corso del Po. Il Ducato autonomo di Sabbioneta si trovò così a confinare a nord-est con il più antico Ducato di Mantova, retto dai Gonzaga, a ovest con il Du-cato di Milano, a sud con il Ducato di Parma e Piacenza retto dai Farnese.

L’impianto viario ortogonale, che ne divide lo spazio in 36 isolati quadrangolari regolari, la razionalizzazione degli spazi pubblici e delle aree monumentali rendono Sabbioneta uno dei migliori esempi di città ideale costruita in Europa. Il progetto della città con le sue opere fortificate è tradizionalmente attribuito allo stesso Vespasiano Gonzaga, condottiero e mecenate: egli si avvalse da un lato dello studio dei trattati di urbanistica e ingegneria militare editi in Italia a partire dalla seconda metà del XV secolo, e dall’altro della consulenza di esperti nell’ingegneria militare e civile, quali Girolamo Cattaneo e Bernardino Palizzari. Urbanisticamente progettata secondo l’antico impianto dei castra romani, fu oggetto di un’originale sperimentazione prospettica: l’asse viario principale, l'antica strada Giulia che collega in direzione est-ovest le due porte d'accesso alla città, venne spezzato in prossimità delle porte e ne venne variata l’ampiezza, così da non far apparire parallele le file laterali delle case. L’intento di Vespasiano era di manipolare visivamente lo spazio per disorientare un eventuale nemico, in caso di attacco, e per far apparire la città più grande di quanto veramente fosse.

Sabbioneta

Le due piazze della città, Piazza d’Armi e Piazza Ducale, sorgono in posizione decentrata e rappresentano i poli attorno a cui si trovano i maggiori monumenti cittadini.

Piazza d'Armi, nella seconda metà del XVI secolo, rappresentava il cuore della vita privata del signore rina-scimentale. Oggi la piazza si presenta con al centro l’antica colonna romana della dea Minerva, e chiusa da un lato dall’edificio della Galleria degli Antichi, che un piccolo cavalcavia unisce al Palazzo del Giardino. La Galleria degli Antichi, o “Corridor grande”, fu costruito dal 1584 al 1586 per raccogliere le collezioni private del duca, fra cui spiccavano i marmi d’epoca classica, a manifestare la passione di Vespasiano Gonzaga per la cultura artistica dell'antichità.

Palazzo del Giardino

 

Il Palazzo del Giardino o "Casino" era il luogo destinato al riposo del signore, deputato allo studio, alla let-tura e alle distrazioni. Il palazzo riprende la tipologia delle ville suburbane rinascimentale ma a Sabbioneta è invece inserito all'interno della cinta di mura. L’esterno si presenta decorato alla sommità da un pregiato cornicione in quercia, mentre i preziosi saloni interni sono frutto dell’intervento di una equipe di artisti coordinati da Bernardino Campi. Alle spalle del palazzo si apriva un magnifico giardino all'italiana, con fon-tana centrale e giochi d'acqua, di cui oggi rimangono soltanto le tre grotte a nicchia

Sabbioneta

Fulcro della vita pubblica del signore e della cittadinanza era invece Piazza Ducale, luogo destinato al mer-cato e agli scambi commerciali. Di forma perfettamente rettangolare è chiusa da tre importanti edifici. Ad ovest sorge il Palazzo Grande, il palazzo di rappresentanza e la residenza del duca destinata ad assolvere agli impegni politici e amministrativi. Primo edificio fatto costruire da Vespasiano è suddiviso in due piani: la facciata presenta un porticato con cinque aperture ad arco, bugnato e rialzato rispetto al piano stradale. Sulle architravi è incisa l'iscrizione che declama la gloria del duca fondatore: Vespasiano per grazia di Dio primo duca di Sabbioneta. Ad est, nel lato opposto della piazza, si trova il Palazzo della Ragione, la sede dei due consigli dei cittadini; il lato nord, infine, tra i palazzi signorili, è chiuso dalla Chiesa di Santa Maria Assunta.

Sabbioneta

Sabbioneta

In posizione mediana rispetto alle due piazze sorge il Teatro all'Antica, costruito tra il 1588 e il 1590, su progetto di Vincenzo Scamozzi, per questo scopo espressamente chiamato dal Duca a Sabbioneta. Il teatro di Sabbioneta rappresenta il primo esempio di teatro moderno edificato ex novo, non vincolato da strutture preesistenti. L'esterno è suddiviso in due ordini da una cornice marcapiano: nell’ordine inferiore le finestre e i tre portali sono contornati da conci in bugnato liscio. L’interno richiama i canoni di costruzione dei teatri classici: cavea semicircolare con gradinate, orchestra rettangolare e palco sopraelevato con la scena fissa. La sala delle rappresentazioni oggi è priva della copertura a finto cielo e della scena originale dello Scamoz-zi; tali strutture dovevano creare nello spettatore l'illusione di trovarsi in un ambiente aperto verso l'ester-no. Il teatro era anche fornito dei necessari spazi tecnici: un foyer e dei camerini per gli artisti con ingresso separato. Una compagnia fissa di comici dell’arte vi recitava, stipendiata dal Duca.



Mantova
A poca distanza da Sabbioneta, Mantova è un esempio di città rinascimentale che ha plasmato i propri spazi alla ricerca di una forma urbanistica perfetta.

Mantova

Il Rinascimento mantovano fu merito quasi esclusivo della dinastia Gonzaga, che rese la città una delle corti signorili più belle d’Europa. Subentrati ai Bonacolsi nel 1328, i Gonzaga furono i signori incontrastati di Mantova fino al XVII secolo, celebrando il proprio dominio anche attraverso generose commissioni artisti-che. La passione per il mecenatismo caratterizzò soprattutto gli anni di governo di Ludovico Gonzaga, (1412-1478), e di Francesco II padre (1466-1519) e figlio (1500-1540), che rappresentano il vero culmine della vita artistica cittadina: grazie a loro giungono a Mantova artisti quali Leon Battista Alberti, Andrea Mantegna, Tiziano, Perugino, Leonardo da Vinci, Correggio e Giulio Romano.

Andrea Mantegna, Ludovico Gonzaga e la sua corte, affresco della Camera degli Sposi, 1474. Mantova, Palazzo Ducale.

















Andrea Mantegna, Ludovico Gonzaga e la sua corte, affresco della Camera degli Sposi, 1474. Mantova, Palazzo Ducale.

A differenza di Sabbioneta, costruita ex novo, gli interventi urbanistici sulla città di Mantova furono per necessità mirati, poiché la città si presentava per buona parte chiusa dall’acqua di laghi formati dal Mincio, con una rete viaria derivata dall'epoca romana. Tali interventi e si concentrarono soprattutto attorno alla zona di Castello di San Giorgio, e alle chiese di San Sebastiano e Sant’Andrea. L’impianto della chiesa di San Sebastiano e della chiesa di Sant’Andrea, frutto dell’ingegno di Leon Battista Alberti, si dimostrò fon-damentale per gli studi rinascimentali sugli edifici a croce greca e latina.

Pianta a croce latina della chiesa di Sant’Andrea.

Pianta a croce latina della chiesa di Sant’Andrea.

ll Palazzo Ducale, o reggia dei Gonzaga, è uno dei maggiori e più articolati complessi architettonici italiani. Costruito dai Bonacolsi alla fine del Duecento, gli antichi signori di Mantova, divenne residenza principale della famiglia Gonzaga che ne modificò struttura e pianta, attraverso continue stratificazioni e aggrega-zioni. Il primo nucleo abitativo è rappresentato dalla struttura della Magna Domus e il Palazzo del Capitano, che faranno parte negli anni successivi dell’impianto della cosiddetta Corte Vecchia. Tra il 1395 e il 1406 venne aggiunto, isolato dagli altri palazzi, il castello di San Giorgio, la possente fortezza sul Mincio con funzioni militari e difensive. Nel corso del tempo però il castello venne via via modificato tanto da mutare il suo aspetto iniziale di roccaforte militare in quello di pregiata residenza signorile. La ristrutturazione degli am-bienti del castello si deve principalmente all’opera dell’architetto toscano Luca Fancelli, che nel suo interno realizza anche la Domus Nova (nel 1480-1484). La decorazione degli interni è invece affidata a Andrea Mantegna, che nella torre di nord-est dipinge la famosa Camera degli Sposi (1465-1474), massimo esempio di Rinascimento padano.

Nella seconda metà del Cinquecento, su iniziativa del duca Guglielmo, i diversi corpi di fabbrica edificati fino a quel momento in maniera non sistematica vengono fusi finalmente in un’unità organica, a costituire una vera e propria città-palazzo, le cui parti sono legate da portici, corridoi e piazze monumentali. Cuore ideale del complesso palaziale diviene la basilica di Santa Barbara, progettata dall’architetto Giovan Battista Bertani. Seguiranno gli interventi promossi dal figlio Guglielmo, Vincenzo I, tutti volti ad ampliare la struttura del complesso e ad arricchirla di opere d’arte. Il Palazzo ducale di Mantova è sede museale da oltre un secolo, conservando sale affrescate da Pisanello (1432-1438), Andrea Mantegna (1465-1474), e Giulio Romano (1524-1546). Lungo il percorso museale, che si snoda attraverso il piano nobile del grandioso complesso architettonico, sono inoltre esposti tele di Ru-bens, Fetti, Viani, Bazzani e di altri maestri mantovani, numerose sculture romane in parte provenienti da Sabbioneta, nonché affreschi e manufatti provenienti da edifici demoliti della città.

Palazzo Te


Il Palazzo Te deriva il suo nome dall’isolotto posto di fronte a quello su cui sorse la città: Teieto, poi abbre-viato in Te. Dapprima l’isolotto fu meta di svago della famiglia Gonzaga: Francesco II vi fece costruire le stalle per i suoi adorati cavalli di razza. Successivamente, nel 1524, Federico II Gonzaga diede incarico a Giulio Romano di ristrutturare le scuderie esistenti per “accomodare un poco di luogo da potervi andare e ridurvisi tal volta a desinare, o a cena per ispasso”, così narra il Vasari nelle sue Vite. Se l’intento appare modesto, alla vista del bellissimo modello di palazzo predisposto da Giulio Romano, Federico II ordina di iniziarne immediatamente la costruzione. Ispirato alla villa romana antica e Destinato all’onesto ozio del committente, Palazzo Te è il capolavoro mantovano di Giulio Romano, presentandosi come uno dei complessi rinascimentali più pregevoli e meglio conservati. La visita al Cortile d'Onore, alla Sala dei Cavalli, o alle Sale di Psiche, dei Venti e delle Aquile, degli Stucchi, e dei Giganti non esaurisce il percorso d’interesse artistico nel Palazzo: il piano superiore accoglie notevoli raccolte di interesse documentario e artistico.

Giulio Romano, I Giganti colpiti da Zeus, particolare degli affreschi della Sala dei Giganti, affresco, 1536. Palazzo te, Mantova.

Giulio Romano, I Giganti colpiti da Zeus, particolare degli affreschi della Sala dei Giganti, affresco, 1536. Palazzo te, Mantova.

di Laura Ferraresi, dottore in Storia dell’Arte

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